Kayabuki no Sato – Kyoto inesplorata 陰翳礼讃 elogio ai luoghi d’ombra del Giappone

 

Elogio ai luoghi d’ombra del Giappone, quelli dove la polvere si accumula, l’erba non è tagliata, dove i boschi sono così fitti da sembrare lingue nere su cui sono stinti carbone di zucchero e liquirizia. Là dove il sudiciume del tempo dona una patina piena di vita e valore, e a rinnovarne la bellezza non sarebbe di certo una mano fresca di bianco, ma piuttosto l’ombra degli anfratti, il rimescolio dello sporco.

Elogio a quei luoghi opachi, quelli che lustrandoli si sottrarrebbe invece che aggiungere, neri come lacche di un’altra epoca, pastosi come la carta giapponese, guardati con occhio giusto, con la corretta inclinazione, seppur neri, si rivelano capaci di riflettere  il più microscopico frammento di luce. Sono il tremolio ipnotico di una fiammella la notte. Un arcobaleno notturno di toni di buio, in un certo senso inafferrabili, accesi e spenti, accesi e spenti, ma forse proprio per questo capaci di un’estrema fascinazione.

Quei luoghi pieni di impronte di mani sudate e aloni di respiri, tanto più belli perché toccati da infinite dita e vissuti da infiniti corpi.

Esperienze culturali a Tokyo – lezione di shamisen, koto e nihonbuyo gratis con TYO tradition

 

Penso che del viaggio la parte più bella sia il confronto, la scoperta, il sorgere della curiosità, che sia essa meraviglia o straniamento, sentirla pizzicare sottopelle come febbre, un appetito sano di comprensione.                      Quel sentimento strano e nebuloso che emerge dalla non conoscenza, ma che nell’approccio e nell’avvicinamento trova la sua ricompensa più grande, l’appagamento di una dose di esperienza culturale in più.

Non si potrà dire di aver viaggiato senza aver conosciuto, magari si avrà visto, ma non guardato, magari si avrà sentito, ma non ascoltato. La cultura di un luogo che ci parla attraverso dettagli, nei gesti, nelle persone, non solo dove svettano luminose le attrazioni turistiche, ma negli anfratti della storia e delle tradizioni, opachi e consunti, ma di una fascino che non porterà mai rughe.

E’ la cultura più di tutte, secondo me, a farsi portavoce del viaggio, a lasciare quel ricordo indelebile, quello di cui solo tu sai, che solo tu in quel momento unico e irripetibile, hai provato. Ed è tramite essa che forse, almeno in parte, alla fine del viaggio, si potrà dire: “ho capito”. Esperienze culturali, che dispiegano un Paese, lo arrangiano liscio sotto le nostre dita, ce lo rendono caro e che sono forse il modo migliore di viaggiare, anche e soprattutto in un Paese lontano come il Giappone, che va preso per mano senza stringere troppo.

3 luoghi segreti dove vedere i sakura a Tokyo – 耳が痛い la necessità del silenzio

 

Nel precedente post sui sakura vi ho raccontato dei luoghi che mi hanno fatto da subito innamorare della primavera giapponese e del significato che i sakura hanno per i giapponesi.

Oggi invece vorrei parlarvi di alcuni angoli di Tokyo più personali e che nel mio immaginario assumono quasi una dimensione privata. Sono piccoli ripari dalla voce della città, da quel fiume soverchiante di persone che si raccoglie nei luoghi della fioritura più famosi.

Tokyo, che come sempre pare spigolosa e troppo piena, abbraccia nel suo grande corpo gentile queste culle umane nascoste e ne fa dono quando si approda frastornati a un desiderio di riposo.  耳が痛い … non voglio più sentire oltre, ho bisogno di silenzio. Quando del corpo contro corpo, del ronzio di persone non se ne può più, è il giusto volto della città, quello che si incastra perfettamente a questo stato d’animo, a farsi avanti.

Prende la forma di piccoli templi celati, gettati nei ripostigli di Tokyo, insospettabili quartieri anonimi reliquari di bellezze. Di fioriture di ciliegi tanto incredibili quanto segrete, di zone residenziali che all’improvviso si ammantano di rosa. 

7 posti che amo per vedere i Sakura a Tokyo – la bellezza del mujo 無常

 

C’è una gioia che potrebbe sembrare infantile, acerba fino all’osso agli occhi di un occidentale, nei giapponesi e nella loro primavera, ma che è tutt’uno, a dire il vero, con l’attitudine di questo popolo nei confronti della transitorietà delle cose, della vita e delle morte stesse.

E’ nell’uomo in completo da lavoro, che pur di fretta, si ferma per una foto a quella coltre rosa; nella vecchina che incantata non cessa di esprimere ad alta voce la meraviglia: “Quanto è bello, vero?“.

E’ l’entusiasmo genuino nei confronti del verificarsi della natura, di una dolcezza sconfinata e a tratti sorprendente, il naso rivolto al cielo, il profilo delineato contro le fronde fino a poco prima nude, tutti alla ricerca di una catarsi naturale e tramite natura.

E’ la stagione dei sakura, che all’improvviso si rivela, cura transitoria e magnifica gioia dalla brevità inafferrabile.

Bento Cooking Class – l’omoiyari del gusto e della forma a lezione di cucina giapponese a Tokyo

 

Se la nostra cucina, quella preparata nel ventre caldo di una casa, da una mamma o da una nonna, ha l’aspetto caloroso di un abbraccio dato con impeto di energia e trova nell’abbondanza delle porzioni un sinonimo di affetto, quella giapponese vede nella cura tutta la premura del gesto.

Il tempo speso nel dettaglio che è solo piacere dell’occhio, ma che magari rende tanto più felici.                                  Tomoko san, la mia insegnante di cucina giapponese a Tokyo, me ne parla, non dicendolo direttamente quando accenna: “mia figlia è così felice quando apre il bento e scopre che il riso si è colorato di rosa”.

In quelle scatole di pranzi al sacco, i bento, si riversa l’omoiyari, vive un microcosmo di pietanze dalle forme kawaii, animaletti e personaggi di cartoni animati, immersi in foreste incantate di broccoli e fiori di prosciutto e carote. Sollevato il coperchio c’è cibo e c’è anche, modellata alla ricerca del buonumore altrui, premura.

E’ Omoiyari, il bento, nella forma più giapponese che esista e ad imparare a preparalo si apprende, al tempo stesso, il riguardo per il prossimo.

Takaragawa Onsen – esperienza magica nelle terme giapponesi

 

A ben guardare, se si osservano due culture tanto diverse come quella giapponese e italiana, pochi ad un primo colpo d’occhio potrebbero sembrare i punti di contatto. Parrebbe che ad essere nate e cresciute in parti opposte del mondo, volontariamente o involontariamente, i momenti di condivisione siano nulli.

Ma è nelle fondamenta dei due Paesi, sotto le loro superfici diverse e altrettanto belle, che un filo li lega strettamente. Giappone e Italia puntinati da quelle che per noi sono terme e che i giapponesi invece chiamano onsen // 温泉.                                                                                                                                                                                                                 La cultura termale che da noi affonda le radici negli usi dell’antica Roma, anche per i giapponesi ha origini antichissime.

La storia degli onsen però, a differenza delle terme italiane,  a quelle tradizioni arcaiche si appoggia ancora tutt’oggi, ed è una storia fatta di nudità, di delicato contatto con la natura, di antichi ryokan che il paesaggio lo assecondano, priva della nostra usuale vergogna per il corpo svelato.                                                                                                  E se nelle terme italiane, che amo altrettanto, si ricerca il relax ma anche il lusso, nei ryokan e nei loro onsen quest’ultimo assume una connotazione del tutto diversa.                                                                                                                     E’ il lusso di un altro mondo, qualcosa di sospeso a metà, fermo ad un tempo inquantificabile, è l’immagine di una passato che prende vita. Ad esso si accompagna una privazione liberatoria dei legami con la città ed è l’irrealtà più che la concretezza a far assaporare l’arrendersi che ne deriva.

Di Takaragawa Onsen, dove sono stata, è in effetti, se ci penso ancora adesso, la sensazione di un sogno bellissimo, il ricordo più vivido che ho. 神隠し// kamikakushi, si potrebbe dire, portata via da un’entità soprannaturale di acqua e vapore.

Dell’anno nuovo e degli occhi dei Daruma – 4 eventi del Capodanno giapponese da non perdere

 

 

Al Capodanno giapponese si va incontro con attitudine diversa, non è botti, non è brindisi, semplice celebrazione dell’anno vecchio che lasciamo alle spalle e dell’anno nuovo che si accinge a prenderne il posto.

E’ preparazione, è un lento progredire, avanzare verso la posizione migliore possibile per affrontare ciò che verrà.

Per me, che lo osservo con gli occhi della disabitudine, è come un febbrile fermento, si allunga e si propaga, si ritrova in ogni direzione, portato dalle persone indaffarate, si accumula e si nutre e quando pensi sia lì, giusto sul punto di traboccare, alla mezzanotte si scioglie.                                                                                                                                                  Scivola via in preghiere e colpi di tamburo, campane battute, odore di incenso, grandi falò nell’oscurità e nella densità morbida dell’amazake.