Harajuku ~ Giappone tra tradizione e modernità

Sono giorni di 七夕(Tanabata) qui, la settima notte del settimo mese si festeggia il ricongiungimento (dopo un anno di separazione) di Orihime e Hikoboshi, due amanti divisi dal fiume della Via Lattea.
Un pò ovunque si vedono ramoscelli di (take-bambù) su cui si appendono i 短冊 (tanzaku): strisce di carta a cui affidare i propri sogni.

 

Anche l’ Inageya (il supermercato) che c’è vicino casa ha il proprio ramoscello, per i clienti che hanno un minuto di tempo da dedicare a impilare kanji nella forma di un desiderio, una speranza o un obiettivo da raggiungere.

Dopo aver comprato il pranzo prendiamo anche noi una strisciolina di carta, scriviamo e l’appendiamo.

(il mio tanzaku e quello di Ale)

 

(pranzetto, 13 pezzi di sushi a 2,50, tipo lacrime di gioia per il prezzo)

 

 (una signora in yukata nella metro, i lati affascinanti del Giappone)

 

Dopo pranzo prendiamo la JR direzionemHarajuku.
Harajuku è uno dei quartieri di Tokyo dove forse più si scontrano e si amalgamano tradizione e modernità.
C’è l’immenso parco di Yoyogi famoso per il Meiji Jingu ma anche per i cosplayers e i rockabilly che vi si radunano la domenica, ci sono le vie commerciali importanti e più internazionali come Omotesando e stradine piccole e affollate, come la stessa (e famosissima) Takeshita Dori, e altre ancora più strette, piene di negozietti bizzarri e talvolta eccentrici. Harajuku è un quartiere animato e allegro, sacro e alternativo, un mix improbabile e scoppiettante forse possibile solo in Giappone.
Il Meiji Jingu è il più importante tempio shintoista di Tokyo,immerso nel parco di Yoyogi (dalla stazione di Harajuku Uscita Omotesando, dirigendosi a destra sempre dritto trovate l’entrata). Pare un altro mondo, là dove in mezzo agli alberi che salgono al cielo, curati in maniera impeccabile, si respira il verde della natura, e i rumori della città spariscono, come se ciò che è sacro non ne fosse toccato.

 

(l’immenso torii di legno che segna l’entrata del Meiji Jingu)

 

 

Passare dalla città al tempio attraverso il torii, punto di inizio e di fine di un piccolo viaggio.
Ci fermiamo davanti al torii per qualche foto e un vecchietto giapponese ci affianca chiedendoci di dove siamo, parla anche discretamente l’ inglese (cosa rara da questA parti), ma noi gli diciamo di non preoccuparsi, può parlare
giapponese. Il signore, che si chiama Kuni, decide di farci da guida e ci accompagna per tutto il percorso fino al tempio, spiegandoci diverse cose e rispondendo alle nostre domande. Esempio di incredibile gentilezza, è forse il primo giapponese non sensei con cui riusciamo a parlare così a lungo, ma che soprattutto si è avvicinato a noi di sua spontanea volontà.
E’ stato un (riprendendo una frase di oggi della mia sensei) 親切な気持ちをもらいました (che letteralmente vuol dire ricevere un sentimento gentile da qualcuno, ma che si potrebbe tradurre con qualcuno ha fatto qualcosa di bello per me, non rendendo però appieno la bellezza della frase giapponese).

Kuni ci spiega che sono botti di sake, mandate dalle distillerie produttrici come offerta al tempio, ci insegna anche a leggere alcuni kanji difficili, i nomi dei sake hanno significati molto poetici e particolari: l’uccidi diavolo,
donna bella come un fiore ad esempio.

Lungo la strada per il tempio incrociamo questo padiglione, due monaci stanno appendendo
delle decorazioni per una qualche cerimonia.

 

Il Meiji Jingu è anche luogo di matrimoni secondo il rito shinto, bisogna essere fortunati abbastanza da arrivare quando escono gli sposi, il momento perfetto per scattare foto.
Quando mi rendo conto di quello che sta succedendo mi paralizzo e poi mi lancio davanti alla folla di turisti fermi macchine fotografiche alla mano, mi spiattello più o meno per terra ma in prima fila.

 

 
(Due sacerdotesse con i loro hakama rossi sgargianti aprono il corteo e un ombrello rosso anch’esso, sopra gli sposi, come a proteggerli)

 

La sposa è di una bellezza mozzafiato, bianco il vestito da sposa tradizionale, sorride con gli occhi e con le labbra rosso fuoco, sotto il suo velo arcuato.

(è l’お母さん– okaasan- la mamma che accompagna la sposa)

 

Vedere il corteo passare è qualcosa di magico, ha il sapore del Giappone, quel velo di maestosità pura e schietta.
Prima di entrare nell’area interna del Meiji Jingu compiamo il rito di purificazione, bisogna lavarsi per attraversare la porta del tempio vera e propria (non è obbligatorio, ma lo stesso bellissimo, acqua che è anche da noi è usata per purificare, acqua che nel suo modo di essere toccata fa vedere tutta la diversità tra il nostro modo religioso e il
loro). Così ci appostiamo e osserviamo qualche giapponese prima di tentare l’impresa, impariamo i gesti netti e precisi ma sempre armoniosi.

 

 

 

La porta del Meiji Jingu, alla quale Kuni ci saluta andando per la sua strada, è incorniciata da tantissimi tanzaku colorati, che si muovono nell’aria come spiritelli impazziti.

 

 

(eccolo il nostro guido, Kuni san)

 

( il Meiji Jingu la domenica si riempie non solo di turisti ma anche di giapponesi che vengono a portare rispetto alle divinità)

 

Sul lato destro del cortile si trova l’area dedicata agli Ema, le tavolette appese attorno a un albero sacro servono per scrivere le proprie preghiere personali e esprimere gratitudine alle divinità del Meiji Jingu, si comprano entrando in un altro cortile sulla destra, alcune sacerdotesse si occupano del negozio indossando il tipico abito bianco sopra e hakama rossi sotto (i miei pensieri corrono subito a Kikyo di Inuyasha).

(file e file di tavolette, una sull’altra, sopra l’altra, in tante lingue diverse, desideri sussurrati che si sfiorano)

 

 

(affidare leproprie speranze per il futuro alle divinità)

 

 
(perché i bambini sono i migliori)

 

Allo stand compro anche un omamori お守り (o che sta per l’onorifico e mamori deriva da mamoru=proteggere) sono amuleti dedicati a divinità shintoiste che contengono preghiere di buon auspicio. Il mio è l’omamori che apre la porta alla fortuna, ma ce ne sono di tantissimi tipi (per il lavoro, lo studio, la vittoria).

 

 

Decidiamo anche di ringraziare le divinità, un piccolo cartello in inglese spiega come fare: bisogna lanciare una monetina all’interno di alcune grate di legno ( ce ne sono 5) inchinarsi due volte, battere le mani due
volte, fare la preghiera e inchinarsi ancora una volta.

 

 
(un’entrata laterale all’area interno del tempio)

 

 

Il ritorno alla città è lentissimo, l’occhio vede solo l’immenso viale e gli alberi che coprono l’azzurro, l’orecchio non sente il respiro di Tokyo.

 

 

Appena fuori dal parco inizia Ometesando lunga e larga via di negozi un po’ più internazionali.

 

(attraversando la strada per andare a Omotesando, una dolcissima visione in rosa)

 

Mentre infilandosi nelle piccole vie laterali si apre un mondo di negozietti più alternativi e particolari, le insegne buffe che attirano l’attenzione. C’è perfino un negozio dove vendono abbigliamento maschile da tutti i giorni ispirato alle varie uniformi: pompiere, muratore, boscaiolo ecc.

 

(un negozio di caricature)

 

(in questo vendono solo sticker e cover per il telefono invece)
(il negozio Barbie Harajuku)

 

 Girovagando a caso e senza la minima idea di dove stiamo andando (come il 50% delle volte da quando siamo qui) capitiamo di fronte a una delle due entrate di Takeshita Dori (quella al fondo della via, l’altra dà sulla stazione di Harajuku).

 

 

 

Takeshita Dori è forse la strada più famosa del quartiere, sempre gremita di gente, piena di negozi curiosi e fuori dalla norma. Dove si possono incontrare, passeggiando, personaggi stravaganti, esempi delle
bizzarre mode giapponesi.

 

 
(uno dei negozietti di Takeshita Dori, dove vengono venduti vestiti molto particolari, non si hanno mai abbastanza occhi per guardare e si ha sempre la sensazione, pur facendo grande attenzione, di poter tralasciare qualcosa di meraviglioso tanti sono i colori, le fattezze, le forme)

 

 

 Percorriamo passo passo la via, curiosando nei vari negozi e pian piano avanza la sera, così decidiamo di fermarci per una crepe.

(crepes giapponesi: perché l’improponibile può esservi proposto dentro)
(seconda crepe giapponese, questa ha dentro panna, fragole, salsa al cioccolato e brownies)

 

Ci infiliamo in una sorta di piazzetta coperta e troviamo un piccolo negozio dedicato interamente a cantanti e idol giapponesi, le pareti fitte fitte di foto, qualsiasi tipo di gadget a tema. Nei sacchetti rosa e azzurri invece si trovano vestiti uguali a quelli indossati dal tal cantante/idol nella foto attaccata sul davanti della busta.

 Sempre nella stessa piazza in un altro negozio un reparto ha solo oggettistica a tema panda.

 

 

 

Decidiamo di concludere la serata con i purikura, vera e propria moda tra la ragazze giapponesi.
Così scendiamo in questo negozio che si trova sotto il livello della strada (poco dopo l’entrata di Takeshita Dori).
Dentro l’ambiente è luminoso e allegro, nella stanza lunga le macchinette si susseguono in fila aspettando per una foto il prossimo gruppo di ragazze .

 

 

 

 I purikura fondamentalmente assomigliano alle macchinette per le fototessere, ma sono molto più grandi e colorati, divisi in due stanzette. Una per le foto, dove è possibile scegliere lo sfondo, vengono applicati effetti e luci semi professionali che letteralmente piallano la pelle del volto e ne trasformano i tratti; aggiungendo ciò che le giapponesi generalmente non hanno. Rendono quindi il viso a cuore e gli occhi grandi: a noi, che queste caratteristiche le abbiamo un po’per natura, in alcune foto sono venuti occhi enormi e visi così a triangolo che ci puoi applicare su il teorema di Pitagora.
Nell’altra stanzetta invece si possono modificare le foto, aggiungendo scritte, disegni e altri effetti con delle penne su un touch screen.
Una volta inseriti i soldi (400 yen) nella prima stanzetta, la macchina parte sparando con la sua vocina mielosa ordini in giapponese e facendo velocissimi count down ansiogeni per selezionare le cose. Capendo la metà di ciò che
dice e prese dall’ansia e dalle risate per l’altra metà o non facciamo nemmeno in tempo a selezionare (e la macchinetta sceglie come pare a lei dotata di libero arbitrio: un giorno i purikura ci conquisteranno) o schiacciamo tasti a caso.
La cosa si ripete anche nella seconda stanzetta, sono più le risate che le foto venute bene, ma non importa.
Abbiamo capito che per fare un purikura ci vuole un duro allenamento specifico che al momento non possediamo neanche un po’.
Una volta finito il tutto la macchinetta stampa le foto su della carta adesiva e dà la possibilità di inviarne una copia su una mail (ovviamente a noi, pur avendolo fatto, non è arrivato un tubo. Ma sono cose che succedono quando non si ha la minima idea di come usare la sopracitata infernale macchinetta parlante).

 

 

 

2 Comments

  1. marina
    13 Gennaio 2018

    Cercavo la cerimonia del té e sono finita in un negozio Barbie… va benissimo così! 😀
    Adoro il Giappone ma non ci sono mai stata. Amo la cerimonia del té giapponese e quindi ti chiedo: hai mai partecipato ad una di esse?

    Rispondi
    1. Stefania - Prossima Fermata Giappone
      13 Gennaio 2018

      Ciao Marina grazie per essere passata 😀
      ahahah cose che davvero capitano in un Paese come il Giappone, mix delle cose più disparate :’D
      Non sono mai stata ad una cerimonia completa, ma ho bevuto più volte matcha da cerimonia preparato nella maniera tradizionale in alcune bellissime chaya!

      Rispondi

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