Lo spirito dei Matsuri in Giappone e il Bon Odori: lavare via gli affanni, portare il buonumore

 

L’estate giapponese è puntinata di Matsuri, i festival tradizionali in cui le strade si riempono di banchetti di street food, lanterne, processioni di mikoshi (le portantine legate allo shintoismo) appoggiati sulle spalle di uomini in abiti tradizionali.

C’è chi canta e balla in mezzo alla strada, lo sfarfallio di ventagli, il clac clac di musica antica, ragazze e ragazzi in yukata, il suono di taiko battuti da piccoli palchi che sembrano torrette.

E’ un’atmosfera, quella dei Matsuri, tutta giapponese, così particolare e straordinaria, così tangibile da gettare il buonumore su tutto ciò che tocca, se la osservo, me ne rendo conto, rende le persone e la città sfavillanti.

Anche in una metropoli come Tokyo i Matsuri sfumano la routine, strappano risate, fanno vivere il momento in tutta la sua condivisione, perché per i giapponesi i Matsuri sono anche questo, attimi di comunità perfino nell’immensità di cemento, grattacieli e strade che è la capitale.

Dove talvolta è difficile incontrarsi, conoscersi, vivere il piccolo, il Matsuri riappacifica.

Nemmeno un quartiere come Shibuya, in cui la folla e la frenesia non si quietano mai, sfugge alla legge del Matsuri e capita, mentre sto facendo shopping al secondo piano di Forever21, che una musica tradizionale invada le strade del quartiere, tanto da farmi affacciare alle vetrate e scoprire così un coloratissimo corteo in festa.

E’ paradossale come la tradizione si appropri di spazi fatti di neon e grandi schermi, negozi alla moda e traffico perenne, eppure…

E’ lo spirito dei Matsuri, la festa anche dove vivere è complesso, perché ci si beve su, perché si mangia del buon cibo, perché si è assieme, si intona un canto che racconta di altri tempi, si balla in cerchio per il Bon Odori (un tipo di danza tradizionale collegata all’Obon) mimando la vita di campagna.

E’ qualcosa che scoperchia i buoni sentimenti, li spalma ben benino in ogni direzione.

 

Tornata dal viaggio alla scoperta di Kanto e Kansai voglio godermi gli ultimi attimi di estate giapponese, è quasi fine agosto e presto il bel tempo lascerà il passo ad un’altra stagione delle piogge.

Grandi acquazzoni all’orizzonte per me che al momento sono fornita solo di un guardaroba estivo e che presto prenderò una leggera influenza.

Faccio un riassunto di quello che vorrei ancora fare, mille cose mi si affollano in testa, il tempo sembra non essere mai abbastanza, so per certo però che è una delle ultime occasioni per assistere ad un Bon Odori.

Con la pioggia anche i Matsuri estivi verranno portati via, si lava il vecchio e si dà il benvenuto al mutare del fogliame.

Conosco già l’incredibile bellezza dei Matsuri, la sensazione dell’unisono di cui si ammantano gli Hanabi Taikai e lo stupore delle luci che nasce dai festeggiamenti dell’Obon a Nara.

Un Bon Odori però no,  non ho ancora mai avuto occasione di prendervi parte.

Così inizio le mie ricerche, nel giro di pochi giorni al Parco di Hibiya, si terrà uno die più grandi Bon Odori di Tokyo.

Affare fatto cara capitale, sono pronta, ma che dico prontissima, via che si imparano tutte le movenze del Bon Odori: pianto il riso e spalo, poi raccolgo e semino, poi ripeto.

It’s the circle of life direbbe Mufasa, che non è il primo scemo del villaggio.

Metto piede fuori casa e vengo avvolta inaspettatamente dalla folla che si è radunata per il Matsuri di Nippori.

E io che sto andando a prendere la Yamanote apposta per andare da tutta altra parte quando i festeggiamenti li ho sotto casa. Pazienza, se faccio le cose le faccio in grande.

La via è invasa da uomini in gonnellino e strofinaccio in testa che si trascinano dietro il mikoshi… aaaah quanto li adoro, sono lì che cantano e battono le mani che neanche ad un concerto metal nella curva dei fan sfegatati. Non si può non venire coinvolti dal loro entusiasmo.

Lo spiazzo davanti alla stazione è attrezzato invece di tutto punto per un ottimo Bon Odori, tanti banchetti di cibo, ragazze in yukata, suono di tamburi e canzoni che mi fanno sempre pensare alle risaie.

 

 

 

 

 

 

 

Il parco di Hibiya è stracolmo di persone, il potere calamitante dei Matsuri è straordinario.

Una folla immensa balla in cerchio, una marea di persone passeggia tra le bancarelle e ancora più gente se ne sta seduta a mangiare nel prato centrale alla luce soffusa delle lanterne di carta.

Seguo anch’io la corrente, prima della danza, il cibo. E così incomincio ad esplorare quali piatti offrano i vari venditori urlanti dall’altra parte dei loro stand.

Yakitori, yakisoba, pannocchie arrosto, enormi granite colorate, karaage, quando mi trovo in questi posti giuro che vorrei comprare tutto, ma per mancanza di fondi finisco sempre per fare su e giù un paio di volte valutando attentamente cosa prendere (e questa è la storia di come un signore giapponese mi ha fregato dal sotto il naso l’ultima pannocchia arrosto aaargh).

Per qualche strana ragione ho voglia di spiedini con i wurstel (allo stomaco non si comanda no? Sono 3 mesi che non mangio l’iconico cibo tedesco) e mi avvicino al banchetto di un’innocua vecchiettina giapponese.

Avete presente quelle tipiche signore anziane giapponesi alte 1 metro e 20 dallo sguardo dolce?

Ecco la signora è così, pare dolce, dolcissima, più dello zucchero filato e di una cascata di m&m’s messi assieme.

Io butto un occhio sui prezzi e lei intanto di soppiatto mi si avvicina tenendo in mano uno di quei suoi spiedini con infilzato sopra un wurstel di 45 centimetri (sì sì la scritta pubblicizza proprio 45cm, non uno di più non uno di meno) che tra un po’ è appunto più alto di lei.

Mi si para davanti e incomincia a dirmi, con fare tutt’altro che zuccherofilatoso:

“Hai visto che lunghi i miei wurstel?

I miei wurstel sono i più lunghi di tutti, eh hai visto che grande che è?

Eeeeeh è proprio enorme questo wurstel, è DAVVERO enorme. Non ne hai mai visto uno così grande, vero?”

intanto brandisce il wurstel davanti alla mia faccia, e continua con lo sproloquio del grande, grosso, immenso … vabbé avete capito dove vuole andare a parare la vecchietta zuccherofilatosa?

No?

Vecchietta zuccherofilatosa ma nemmeno un po’, incoronatela seduta stante la regina dei doppi sensi e dei wurstel.

E’ evidente che si sta divertendo un mondo e io sono la sua povera vittima.

Non so se mettermi a ridere o se scappare da lei e dal suo arnese made in Deutschland dalle dimensioni degne del Rocco nazionale.

Comunque alla fine il wurstel l’ho comprato, la signora ci stava mettendo troppo impegno per deluderla (e poi non si dica che i giapponesi non sono dei burloni, se ci penso rido ancora adesso).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dopo aver mangiato anche qualche altro yakitori, seduta nel prato insieme all’immensa folla, decido che è il momento di lanciarmi nel Bon Odori.

Mi butto nella mischia e mi sento subito una disadattata, nemmeno 10 anni di danza possono salvarmi dalle strane movenze stile agricoltore leggiadro, nelle quali io sembro più che altro uno scaricatore di porto con i piedi al contrario se paragonata alla gente intorno (ragazzi ubriachi che ballano dietro di me a parte, loro riescono a battermi, ma non so se devo sentirmi consolata o meno).

Ci provo in ogni caso ed è incredibilmente divertente, giro in tondo spalando e seminando, battendo le mani e facendo passetti avanti e indietro, finché la musica finisce e la gente comincia a fluire via alla ricerca di altre attività.

Una delle esperienze più belle da quando vivo qui a Tokyo, nonostante (anzi forse compresa) la tiritera del doppio senso della vecchietta dei wurstel.

E’ di questo che parlo quando scrivo dello spirito dei Matsuri, è un sentirsi vivi e circondati dalla vita, non importa cosa, al di fuori di questi momenti, stia accadendo o potrebbe accadere.

E’ svagarsi e riporre i pensieri, le delusioni. E a Tokyo penso funzioni come un colpo di bacchetta magica: lavare via gli affanni, portare il buonumore. 

Mi allontano anche io dal parco, camminando lungo vie che non ho mai percorso prima (non vengo spesso da questo lato della città a dirla tutta) finché ad un incrocio riconosco il paesaggio, ho sfilato lungo Yurakucho finendo a Ginza.

Lo capisco dal mutare dei palazzi e degli spazi, Ginza è lucida e lustrata, le strade ampie e ben ordinate, è perfettina con tutte le sue superfici lisce e immacolate, quando ci entro ho sempre la sensazione che il quartiere voglia cacciarmi fuori a calci perché non abbiamo nulla da spartire io e lui. Troppo elegante e troppo ricca per i miei gusti, di solito la evito preferendole ambienti più umili e con più storie da raccontare.

Mi ritrovo comunque a comprare un buonissimo waffle al cioccolato e nocciole da Manneken e a passeggiare all’ombra di Chanel, Bulgari, Tiffany e Dior.

Di notte, al contrario di Shibuya, è un quartiere silenzioso, poche persone, pochi rumori, pochi colori, è tutto “color pulito” in questo posto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi rinfilo nouvamente nella Yamanote per scendere ad Ueno.

Io e Isa non vogliamo ancora tornare a casa, sarà il fermento della serata, ma è troppo presto, avverto il bisogno di stare sveglia, fare cose.

Vogliamo starcene tranquille sedute in qualche angolino e decidiamo di andare a vedere com’è la sede dell’HUB di Ueno (sì, sto tradendo il mio amato HUB di Takadanobaba, mi sento in colpa), ordino il mio solito cocktail annacquatissimo ai frutti di bosco  e qui lo dico: io adoro i giapponesi e il loro fare i cocktail senza alcol, così anche chi non beve un tubo come me può bere qualcosa di meno noioso di un tè alla pesca.

Ecco, ora figuratevi la scena, noi stiamo lì tranquille, non stiamo badando nessuno, io sorseggio la mia roba annacquata con aria pacifica, ma vorrete mica mai che dopo la signora dei wurstel le stranezze della serata siano finite lì?

No, vero?

Preparatevi perché le mie storie dell’assurdo in Giappone non hanno mai fine (oooh yeah)

Due ragazze giapponesi sedute di fianco a noi attaccano bottone e una di loro, che ci dice essere una make up artist, insiste nell’offrirci da bere, il perché ci è ovviamente ignoto.

Le piace il nostro trucco?

Siamo straniere e le facciamo simpatia?

E’ solo molto cordiale?

Boh, rimarrà per sempre un mistero.

Noi che non vogliamo essere di disturbo la ringraziamo e rifiutiamo gentilmente, lei continua a insistere e alla fine ordina per i fatti suoi un altro bicchiere di quello che sto bevendo per me e un intero litro di birra per Isa, che tra l’altro ci viene portato dentro un contenitore che sarebbe più adatto ad un laboratorio e che è alto per davvero un metro (vedere foto per credere).

In tutto ciò il tizio del tavolo accanto ruba la bandierina del nostro tavolo (che i camerieri usano per le ordinazioni) e al posto del nostro scontrino ritorna con un altro bigliettino pinzato nella mollettina con scritto sopra il suo numero di cellulare in dono per noi (oh che onore).

E’ palesemente allegrotto e inizia a raccontarmi in giapponese, farfugliando, la storia della cittadina da cui viene in cui c’era un pesce che viveva in uno stagno … tutto chiaro no?

Lineare.

Le due ragazze giapponesi iniziano a preoccuparsi perché il tizio ci disturba, sono quasi più in ansia loro di noi, ma a guardarlo lo si vede che il tizio del pesce nello stagno è più innocuo di un pesce rosso (ahah ho fatto la battuta?), tanto che al momento di andarcene la make up artist in vena di protezione materna incomincia a dire che è tardi (mezzanotte), che non possiamo andare fino a casa da sole a piedi (a un quarto d’ora da dove siamo in uno dei Paesi più sicuri al mondo) perché siamo piccole (avrà al massimo 4 anni più di me) e che dobbiamo prendere il taxi.

Ci prende e di sua iniziativa ferma uno di quei sciccosissimi taxi giapponesi in cui le porte si aprono da sole, l’autista ha i guanti bianchi e i copri-sedile sembrano i centrini ricamati di mia nonna, paga il tassista e ci spinge letteralmente dentro a forza.

L’ho già detto boh?

Questa serata rimarrà per sempre un mistero, lo ripeto.

Ed ecco la storia di come ho preso il mio primo taxi giapponese. L’avreste mai immaginato?

Io di certo no.

 

 

 

 

 

 

 

E tu hai mai partecipato ad un Matsuri o Bon Odori? Ti piacerebbe partecipare? 🙂

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